Teatro e Storia

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Brecht e il Piccolo Teatro. Una questione di diritti, Alberto Benedetto Milano, Mimesis, 2016

La veste editoriale potrebbe far pensare a un’agiografia: sul retro copertina si legge la frase che Brecht scrisse a Strehler dopo la prima della sua Opera da tre soldi, il 10 febbraio del 1956: «Caro Strehler, mi piacerebbe poterle affidare per l’Europa tutte le mie opere, una dopo l’altra. Grazie». Invece Brecht e il Piccolo Teatro. Una questione di diritti è un libro che non fa sconti all’istituzione di cui racconta un importante frammento di storia. Alberto Benedetto, dal 2009 direttore di produzione e organizzazione del Piccolo Teatro di Milano, vi esamina da vicino il lavoro di chi per primo occupò il suo ruolo, rivelando tramite carte dell’Archivio Storico dell’ente ciò che sta dietro a una questione spinosa, quella appunto della gestione in Italia dei diritti sulle opere di Bertolt Brecht. In una ricostruzione attenta, che lascia parlare i documenti senza imporre giudizi, si osserva da vicino come Grassi, dopo la morte di Brecht (avvenuta il successivo agosto), e grazie alla stima accordatagli dalla Surhkamp Verlag – casa editrice che dell’autore deteneva i diritti – e da Helene Weigel – succeduta a Brecht alla direzione del Berliner Ensemble – abbia saputo trasformare la sua formula di apprezzamento in una delega di valore testamentario e assoluto, arrivando a creare, per il Piccolo Teatro, un monopolio di fatto. Il libro si muove tutto all’interno della vicenda, raccontata in modo da appassionare quanto un giallo: se un difetto vi si può trovare, è nella scelta di mostrare poco del contesto storico, che forse aiuterebbe a comprender meglio l’importanza di fatti così determinanti per le dinamiche del teatro italiano, passate e presenti. (Raffaella Di Tizio)


Il pane degli attori. Trentacinque anni di lavoro col Teatro Due Mondi Gigi Bertoni Faenza, Teatro Due Mondi, 2016

Nel 2009 Gigi Bertoni ha pubblicato in «Teatro e Storia» (n. s., n. 30, pp. 391-410) Riscritti per la carta. Lettera sui miei venticinque anni di lavoro nel Teatro Due Mondi: vi descriveva il suo percorso di drammaturgo, strettamente connesso alle pratiche creative del suo gruppo. Era uno sguardo interno alla sala di lavoro, che rispondeva alle domande espresse allora da alcuni studenti dell’Università dell’Aquila curiosi di sapere qualcosa di più sul “dietro le quinte” del teatro faentino. Da quell’articolo nasce oggi un libro, «una raccolta di testi usati negli spettacoli. E dei pensieri e delle riflessioni che gli stanno attorno». Non vi si troverà solo il punto di vista dello scrittore, ma anche interventi di regista e attori (Alberto Grilli, Tanja Horstmann, Angela Pezzi, Maria Regosa, Renato Valmori), un dialogo-intervista e due lettere introduttive di Mirella Schino e Ferdinando Taviani: un lavoro a più voci, primo contributo al racconto della lunga storia di questo gruppo teatrale, a partire dal suo rapporto con la parola.


Maestranze, artisti e apparatori per la scena dei Gonzaga (1480-1630). Atti del convegno internazionale di studi (Mantova, 26-28 febbraio 2015) a cura di Simona Brunetti Bari, Edizioni di Pagina

I trenta saggi, compresa la premessa della curatrice, raccolti nel volume illustrano non soltanto i contributi dei relatori al convegno del 2015, ma le direzioni d’inchiesta del progetto Herla, promosso nel 1999 dal compianto Umberto Artioli nell’ambito della Fondazione, che ora gli è intitolata, Mantova Capitale Europea dello Spettacolo. Il progetto, i cui criteri di acquisizione e schedatura sono esposti da Simona Brunetti in un saggio della parte introduttiva, prevede la creazione di un archivio digitale piuttosto inclusivo: «L’unico vincolo posto per la selezione e la schedatura è che i documenti inerenti lo spettacolo, attualmente sparsi negli archivi di tutta Europa e in quelli delle corti italiane che all’epoca erano in relazione con la corte mantovana, debbano sempre recare traccia di un legame con i Gonzaga, con i territori sotto il loro dominio o almeno con “la commedia all’improvviso”, da loro tenacemente sostenuta e finanziata» (p. 12). L’elemento comune agli interventi è l’attenzione per la mobilitazione di tecniche e apporti, e per l’identificazione di artefici e “maestranze” che abbiano sostanziato, negli episodi e nei presupposti, la cultura materiale e le soluzioni realizzative e simboliche degli spettacoli dei Gonzaga. Spetta al lettore, nell’ingente raccolta di eventi e connessioni, realizzare e dipanare percorsi e ragioni di riflessione e ricostruzione della fisionomia di un’era del teatro. Chi sia interessato alla definizione delle competenze recitative e performative, trova materiali e sintesi nei saggi di Licia Mari su Musici e intrattenitori alla corte di Mantova tra XV e XVI secolo; e di Marzia Maino su Artisti e maestranze per l’Orfeo di Poliziano (1490-91), che riguarda allestimenti mancati ma integra anch’esso le traiettorie di attori e artefici, fornendo un’utile messa a punto tra riepilogo degli studi e depositi documentali. I rapporti tra arti visive e apparati effimeri sono affrontati negli interventi di Marsel Grosso, Alessandra Pattanaro (su Ferrara) e Daniela Sogliani. Altre trattazioni gravitano intorno alla supremazia dei Gonzaga nella protezione delle grandi compagnie dell’Arte tra Cinque e Seicento. Ricordiamo tra queste il saggio di Francesca Simoncini su Barbara Flaminia; e gli scritti di Maria Ines Aliverti e Fabrizio Fiaschini, che procurano nuove evidenze e associazioni, per chiavi iconografiche e drammaturgiche, sulla sintesi tra condizione dei comici e opzioni artistiche, morali e filosofiche impersonata da Giovan Battista Andreini. (Raimondo Guarino)


Maestranze, artisti e apparatori per la scena dei Gonzaga (1480-1630). Atti del convegno internazionale di studi (Mantova, 26-28 febbraio 2015) a cura di Simona Brunetti Bari, Edizioni di Pagina

I trenta saggi, compresa la premessa della curatrice, raccolti nel volume illustrano non soltanto i contributi dei relatori al convegno del 2015, ma le direzioni d’inchiesta del progetto Herla, promosso nel 1999 dal compianto Umberto Artioli nell’ambito della Fondazione, che ora gli è intitolata, Mantova Capitale Europea dello Spettacolo. Il progetto, i cui criteri di acquisizione e schedatura sono esposti da Simona Brunetti in un saggio della parte introduttiva, prevede la creazione di un archivio digitale piuttosto inclusivo: «L’unico vincolo posto per la selezione e la schedatura è che i documenti inerenti lo spettacolo, attualmente sparsi negli archivi di tutta Europa e in quelli delle corti italiane che all’epoca erano in relazione con la corte mantovana, debbano sempre recare traccia di un legame con i Gonzaga, con i territori sotto il loro dominio o almeno con “la commedia all’improvviso”, da loro tenacemente sostenuta e finanziata» (p. 12). L’elemento comune agli interventi è l’attenzione per la mobilitazione di tecniche e apporti, e per l’identificazione di artefici e “maestranze” che abbiano sostanziato, negli episodi e nei presupposti, la cultura materiale e le soluzioni realizzative e simboliche degli spettacoli dei Gonzaga. Spetta al lettore, nell’ingente raccolta di eventi e connessioni, realizzare e dipanare percorsi e ragioni di riflessione e ricostruzione della fisionomia di un’era del teatro. Chi sia interessato alla definizione delle competenze recitative e performative, trova materiali e sintesi nei saggi di Licia Mari su Musici e intrattenitori alla corte di Mantova tra XV e XVI secolo; e di Marzia Maino su Artisti e maestranze per l’Orfeo di Poliziano (1490-91), che riguarda allestimenti mancati ma integra anch’esso le traiettorie di attori e artefici, fornendo un’utile messa a punto tra riepilogo degli studi e depositi documentali. I rapporti tra arti visive e apparati effimeri sono affrontati negli interventi di Marsel Grosso, Alessandra Pattanaro (su Ferrara) e Daniela Sogliani. Altre trattazioni gravitano intorno alla supremazia dei Gonzaga nella protezione delle grandi compagnie dell’Arte tra Cinque e Seicento. Ricordiamo tra queste il saggio di Francesca Simoncini su Barbara Flaminia; e gli scritti di Maria Ines Aliverti e Fabrizio Fiaschini, che procurano nuove evidenze e associazioni, per chiavi iconografiche e drammaturgiche, sulla sintesi tra condizione dei comici e opzioni artistiche, morali e filosofiche impersonata da Giovan Battista Andreini. (Raimondo Guarino)


Tancredi Gusman, prefazione di Mara Fazio L’arpa e la fionda. Kerr, Ihering e la critica teatrale tedesca tra fine Ottocento e il nazionalsocialismo Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore

Al centro del volume c'è il confronto tra le idee sul teatro (e sul ruolo della critica) di Alfred Kerr e Herbert Ihering, le cui visioni arriveranno a scontrarsi nella Berlino della Repubblica di Weimar. La prima parte del libro è però dedicata a una storia della critica teatrale tedesca dalla sua nascita, nel Settecento, fino al Novecento: vi sono raccolte informazioni che, corredate da un ricco apparato di note, vogliono introdurre il lettore italiano a un mondo spesso poco noto, offrendo tutti i riferimenti necessari per comprendere a fondo il cuore del discorso. Kerr e Ihering si troveranno a ridefinire il proprio ruolo rispetto al pubblico e al fare teatrale in epoca di trionfo del giornalismo, quando il discorso critico sul teatro sembrerà perdere il suo terreno specifico. La ricerca di autorevolezza spingerà Kerr a fare del critico un artista, mentre Ihering insisterà sulla necessità di una critica ancella della scena, che promuova una centralità sociale dell’evento teatrale. Attraverso il loro dibattito, avvenuto in quella fase ricca di fermenti artistici che precedette l'avvento di Hitler al potere, Gusman fa emergere le vicende e i protagonisti di un momento fondamentale della storia del teatro tedesco e europeo. (Raffaella Di Tizio)


Aristofane a Scampia, Miniature Campianesi Martinelli, Marzocchi Firenze, Ponte alle Grazie, Oblomov edizioni

Uno sguardo sul Teatro delle Albe: due libri e uno spettacolo. Iniziamo dal primo libro, Aristofane a Scampia, Firenze, Ponte alle Grazie, 2016. Lo firma Martinelli, ma ha l’aspetto di un racconto corale, con la sua armonia, le piccole stonature e i diversi timbri, la danza di Ermanna Montanari, la costanza delle Albe e la ricchezza di tutte le “guide” che si sono messe in gioco negli anni. Un racconto generoso dei venticinque anni di non-scuola, un’esperienza nata per sfida e con qualche perplessità, ma senza esitazione. Un modo per salvare gli adolescenti dal mondo, e per dirla in altro verso: salvare anche se stessi. Marco Martinelli racconta un teatro che non è per ragazzi, ma loro scoperta. La particolare necessità della non-scuola è il riempimento di uno spazio assente, è il “farsi luogo” di cui Martinelli già ci ha parlato in un altro suo libro (Farsi luogo, Imola, Cue Press, 2015). Ed è proprio questo desiderio: fare luogo di tutti, quello che apparentemente è di nessuno che ha creato le condizioni ideali per un nuovo progetto La Divina Commedia 2017-2021 di cui lo spettacolo Inferno, Chiamata pubblica per «La Divina Commedia di Dante Alighieri» costituisce la prima parte (in coproduzione con Teatro Alighieri, Ravenna Teatro/Teatro delle Albe). Circa settecento cittadini ravennati sono stati coinvolti nel progetto, e ogni sera nei mesi di giugno e luglio 2017, più di duecento hanno partecipato attivamente alla realizzazione dello spettacolo. Dalla Tomba di Dante si percorrono le strade di Ravenna, dai balconi delle case qualcuno sta a guardare e partecipa: l’eco delle parole si amplifica, un suono denso e pervasivo dimostra che la presenza dei diversi luoghi appartiene più alla dimensione relazionale che non a quella descrittiva della narrazione. Il cammino inizia di fronte la Tomba di Dante, due guide-Virgilio (Marco Martinelli ed Ermanna Montanari), vestite di bianco, accompagnano le terzine del poeta verso il finire della giornata di sole. La chiesa romanica di Santa Chiara, oggi Teatro Rasi, è il luogo deputato ad accogliere l’Inferno. Siamo nella città di Dite. Solo un attimo per prendere fiato, stringere le mani dei nostri Virgilio e sentire chiudersi la porta alle spalle. Le Albe sono già a lavoro per il proseguo del progetto: nel 2019 e poi ancora nel 2021 ci aspettano il Purgatorio e il Paradiso; la cornice sarà sempre quella di Ravenna. Anche Ermanna Montanari ha pubblicato quest’anno un libro, un piccolo volume che non tratta di teatro, Miniature Campianesi, illustrate da Leila Marzocchi, Cagliari, Oblomov edizioni, 2016. Sono racconti brevi della sua infanzia e giovinezza a Campiano. Non parlano direttamente di spettacolo, ma un libro autobiografico di una attrice è di per sé un libro di teatro? Questo, in particolare, ci racconta radici di vita che abbiamo visto anche in scena, ci fa comprendere alcune scelte artistiche, come il dialetto, ci mostra alcuni luoghi apparsi in spettacoli, come la câmbra da rizévar, la camera da ricevere. Tra molti anni, quando il pubblico avrà perso il privilegio di vedere Ermanna, mi sembra che queste pagine potranno restituire almeno qualcuno dei sapori della sua arte. Giro a proposito delle sue Miniature le parole che la stessa Ermanna ha usato per descrivere il suo rapporto con Cime tempestose: «In quel libro c’era tutto: le mie notti e i miei giorni: gli spettri, le figure sul muro, un bimbo abbandonato e detestato, il vento, la casa di campagna». Anche nel suo libro c’è tutto quel che serve: siamo noi, al più, che non sappiamo come usarlo per capire. (Doriana Legge, Mirella Schino)


Le jardin. Récits et réflexions sur le travail para-théâtral de Jerzy Grotowski entre 1973 et 1985 François Kahn Accademia University Press

Il giardino del titolo, ci dice l’autore, è quello tanto spesso rappresentato nei tappeti persiani, con immagini piene di colori, di alberi, uccelli, simboli. Ma anche luoghi di preghiera e di incontro. Il sottotitolo rispecchia la puntigliosa precisione del suo autore. Dopo aver finito il libro, mi sono resa conto di quanto vividamente la scrittura di Kahn rispecchia quel che ricordo della sua arte di attore e regista: la precisione leggera, la cura del dettaglio, la freschezza. Questo è forse il più bel libro che abbia letto sul lavoro para-teatrale di Grotowski. È molto personale, ma non privato, è ricco di informazioni, ma sempre fermo all’essenziale. È corredato da una introduzione di Tatiana Motta Lima, studiosa brasiliana che ha condiviso con Kahn esperienze anche pratiche. Il libro è una testimonianza preziosa su un mondo anche mentale molto familiare alla mia generazione e a quella precedente, ma che adesso sta diventando rapidamente un punto interrogativo e un mistero. Comincia così: «La variété des sujets intéressant Grotowski, son goût presque romanesque pour le secret et l’aventure, sa soif de connaissance de l’homme et du divin, sa pointilleuse discrétion à l’égard du travail et de la sphère privée de la vie de ses collaborateurs et de lui-même, son absence radicale de dogmatisme et son attachement artisanal aux détails, enfin ma méconnaissance du polonais, tout cela fait qu’il m’est pratiquement impossible de donner una image générale du travail de Grotowski durant le période para-théâtral». È un Grotowski diverso dal solito, e al tempo stesso è quello familiare a chi ha potuto incrociarne il percorso. Leggere questa descrizione dà un senso di sollievo, che permane nella lettura di tutto il volume. François Kahn, Franio, parla in prima persona e racconta solo quel che ha lui stesso sperimentato, eppure non si avverte mai la chiusura di chi vuol limitarsi alla propria esperienza, si sente anzi un odore d’aria fresca, di spazio aperto. L’odore, verrebbe da dire, del silenzio.


International Brecht Society, Brecht Yearbook 41/2016 Theodore F. Rippey, Rochester (NY) Camden House Publishing

Now published for the International Brecht Society by Camden House, the Brecht Yearbook is the central scholarly forum for discussion of Bertolt Brecht's life and work and of topics of particular interest to Brecht, especially the politics of literature and of theater in a global context. It includes a wide variety of perspectives and approaches, and, like Brecht himself, is committed to the concept of the use value of literature, theater, and theory. Volume 41 features an interview with longtime Berliner Ensemble actor Annemone Haase by Margaret Setje-Eilers. A special section on teaching Brecht, guest-edited by Kristopher Imbrigotta and Per Urlaub, includes articles on creative appropriation in the foreign-language classroom (Caroline Weist), satire in Arturo Ui and The Great Dictator (Ari Linden), performative discussion (Cohen Ambrose), Brecht for theater majors (Daniel Smith), teaching performance studies with the Lehrstück model (Ian Maxwell), Verfremdung and ethics (Elena Pnevmonidou), Brecht on the college stage (Julie Klassen and Ruth Weiner), and methods of teaching Brechtian Stückschreiben (Gerd Koch). Other research articles focus on Harry Smith's Mahagonny (Marc Silberman), inhabiting empathy in the contemporary piece Temping (James Ball), Brecht's appropriation of Kurt Lewin's psychology (Ines Langemeyer), and Brecht's collaborations with women, both across his career (Helen Fehervary) and in exile in Skovbostrand (Katherine Hollander). Next volume (Brecht Yearbook 42, 2017) will include the selected proceedings of the IBS Symposium held in Oxford (UK) in summer 2016, under the title Recycling Brecht. Languages: English and German. The website for the Brecht Yearbook: https://boydellandbrewer.com/series/brecht-yearbook.html. (Marc Silberman)


del Grande attore. Tra la Rachel e la Duse Mirella Schino Imola, Cue press

Riedizione del volume originariamente pubblicato nel 2004 dalla Edimond.


Culture ermetiche e Commedia dell'Arte Elena Tamburini Roma, Aracne

Il volume raccoglie, riveduti e ampliati, i saggi che l’autrice ha dedicato in anni recenti al tema della fisionomia culturale delle compagnie dell’Arte, ricostruendo la trama di affinità, simpatie e alleanze contratte dai comici delle grandi compagnie nelle loro strategie di riconoscimento e nobilitazione. Al centro dell’attenzione specialmente l’approfondimento dei contatti tra i comici Gelosi e l’Accademia della Val di Blenio, fondata a Milano nel 1560 e guidata dal pittore Giovan Paolo Lomazzo. E l’influenza che i concetti e la struttura dell’impresa mnemotecnica dell’Idea del Teatro di Giulio Camillo (stampata postuma nel 1550) possono aver esercitato, per mutuazioni e mediazioni, sul Teatro delle favole rappresentative di Flaminio Scala. Questi motivi si innervano in tessuto più vasto e impegnativo, che intreccia diverse dimensioni. C’è un livello ambientale, che riguarda la “differenza veneziana” con le sue stagioni e disillusioni, il rapporto tra culture artigianali, poligrafi, accademie ed eresie nello scenario lagunare; o il nesso tra dialettalità e licenza morale e religiosa coltivato dall’accademia lombarda. C’è poi il livello simbolico che condensa in testi e immagini assimilazioni e adattamenti di correnti difformi del clima rinascimentale. E il piano delle biografie e delle sintesi personali, che coinvolge la formazione e il mito di Isabella Andreini e il profilo multiforme di Flaminio Scala. Ne emerge, tra ipotesi e esiti interpretativi, il quadro rinnovato di una questione costante e decisiva della storiografia sulla Commedia dell’Arte: il rapporto tra compagnie e accademie, le convergenze e somiglianze di ragioni collettive e traiettorie individuali che accostavano alle imprese comiche figure e associazioni di scrittori e artisti contemporanei. Dietro le “culture ermetiche” si manifestano relazioni vitali, tra la sopravvivenza e la fama, per l’identità e le strategie dei comici professionisti. Oltre a essere una importante ricognizione e un approfondimento di temi già rilevanti nella tradizione degli studi, il libro dimostra come le ricerche e le questioni aperte sui comici confluiscano, con originalità di prospettive, nella complessiva revisione dei caratteri culturali e sociali dell’età della Controriforma. (Raimondo Guarino)