Teatro e Storia

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Cregrave;er, ensemble. Points de vue sur les communauteacute;s artistiques (fin du XIX-XX siegrave;cle) Marie-Christine Autant-Mathieu (a cura di). Montpellier, L'entretemps, 2013

Un libro pugnace, con una bella introduzione di Marie-Christine Autant-Mathieu, consacrato alle "comunità artistiche", termine volutamente vago, che può indicare associazioni quanto gruppi, scuole come ateliers, laboratori e studi. Queste comunità artistiche sono studiate con particolare riferimento ai problemi del valore collettivo del lavoro di creazione. Di particolare interesse sono le aperture su comunità extra-teatrali a partire dalla fine del diciannovesimo secolo. In un'opera che vuole essere internazionale e interdisciplinare stupiscono alcune gravi carenze nella bibliografia, in particolare qualsiasi riferimento al noto lavoro in questo campo di Fabrizio Cruciani.


Stepping Stones Ingemar Lindh, a cura di Frank Camilleri, Holstebro-Malta-Wroclaw, Icarus Publishing Enterprise 2013

è l'edizione definitiva del libro pubblicato in italiano nel 1998 (Pietre di guado) e in svedese nel 2003 (Stenar att ga pa). è un libro internazionale, e trasversale, una trascrizione dell'oralità, nel vivo dell'insegnamento. Ingemar Lindh è stato un grande maestro di teatro. Allievo di Decroux, ha fondato un "Istituto per l'arte scenica" che ha agito a lungo in Italia, in Svezia, a Malta, dove l'autore è morto nel giugno del 1997, a cinquantadue anni. La tenacia con cui alcuni suoi allievi e compagni (da Benno Plassmann a Marlene Schranz, da Magdalena Petruska al curatore del volume, Frank Camilleri) hanno voluto garantire a questo libro la giusta diffusione testimonia il valore dell'insegnamento e della storia di Ingemar Lindh per la cultura teatrale europea dell'ultimo Novecento. Nella sua Introduzione, Frank Camilleri tratteggia le intersezioni fra il lavoro di Lindh e le linee portanti del nuovo teatro europeo. Nel Glossario che chiude il volume ne precisa e ne definisce punto per punto la portata.


In fuga dal senato Franca Rame Roma, Chiarelettere, 2013

E' un libro che parla di politica e che nasconde il teatro. Racconta dall'interno l'insieme delle dinamiche sociali, burocratiche e relazionali che scandiscono i ritmi di una persona eletta al Senato della Repubblica. Nasconde il teatro percheacute; è un libro che non vuole parlare di teatro ma che lo utilizza come un livello sotteso che nutre il racconto. Eletta nel 2006 all'età di 76 anni nelle file dell'Italia del Valori, Franca Rame racconta i diciannove mesi di lavoro in Senato durante il secondo governo Prodi. Se viene letto come un testo sulla politica di quegli anni, si rischia di precipitare all'interno di un libro triste. Ma, nascosto all'interno di queste vicende c'è il teatro, che riaffiora a tratti, nelle vicende biografiche dell'attrice, o nelle tecniche da lei usate per sopravvivere in quella "nave di matti": laquo;Ho imparato da tempo a inquadrare il pubblico in teatro; mio padre, capocomico, diceva: "se non sai individuare chi hai davanti, in platea, è meglio che cambi mestiere". Osservo e catalogo i presenti, a gruppi e uno alla volta. Riconosco il carattere da come uno cammina, si siede, gesticola"... raquo;. In fondo il libro racconta come il teatro ha insegnato a Franca Rame a saltare giù dalla nave dei matti. Per lei, saltar giù non ha significato fermarsi, ma continuare a combattere, fino alla fine: laquo;Sono salita su questa strana nave che a momenti mi ricorda quella dei folli dipinta da Bosch, con esagitati appesi al palo di trinchetto"... Anch'io come quelli pensavo di poter fare qualcosa di utile. Non è successo. Non mi è stato possibile. Non ce l'ho fatta. Essere coerenti con le proprie scelte ideologiche è onesto, giusto, indispensabile"... ma se non te lo puoi permettere? Non ti resta che gettarti a mare: è quello che ho fatto! E ora nuoto, nuoto fincheacute; tengo fiatoraquo;. (Gabriele Sofia)


Le acrobazie dello spettatore. Dal teatro alle neuroscienze e ritorno Gabriele Sofia Bari, edizioni di pagina, 2013

Sono circa dieci anni che le culture teatrali in Italia sono impegnate a cercare, non senza difficoltà, dei punti proficui di contatto e di scambio con le neuroscienze cognitive, organizzando seminari, master internazionali, convegni, e pubblicando gli Atti relativi. Il recente volume di Gabriele Sofia, Le acrobazie dello spettatore, è il primo lavoro monografico che affianca e fa interagire in maniera sistematica due ambiti di ricerca, provando a ipotizzarne i benefici, le potenzialità e i limiti nello studio della relazione attore-spettatore. A questo fine, l’orizzonte d’attesa scelto dall’autore è stato lo spettatore, analizzato nella sua dimensione relazionale, intersoggettiva e complessa. Cosa succede nel corpo-mente dello spettatore a teatro? Cosa ci dicono le neuroscienze cognitive a proposito dell’esperienza spettatoriale? Com’è possibile, oggi, indagare quei meccanismi cognitivi che rendono unica l’esperienza dello spettatore teatrale rispetto a tutte le altre esperienze della nostra quotidianità? Queste sono alcune delle domande che il libro tenta di esplorare tramite un approccio multidisciplinare che, partendo dagli studi teatrali, attraversa le neuroscienze, la psicologia cognitiva, le scienze dei sistemi complessi e la fenomenologia [Clelia Falletti].


Alfred Jarry, una vita patafisica Alastair Brotchie Trucazzano (MI), Johan & Levi Editore, 2013

(ed. originale: Alfred Jarry. A pataphysical life, Cambridge [MA], Massachusetts Institute of Technology, 2011). Un libro che fa piacere avere tra le mani: elegante, arioso, compatto, costellato quasi in ogni pagina da foto in bianco e nero d’ottima qualità, riproduzioni di documenti, ritratti e manoscritti. Un libro asciutto preciso tagliente nell’informazione, dotato d’un suo aplomb sufficiente a dargli quell’aria di grandezza che hanno le opere «tutte cose» e poche chiacchiere. Alastair Brotchie, l’autore, la cui lingua materna è il tedesco, è però di casa in diversi paesi europei: ha fondato la londinese Atlas Press ed è stato responsabile del Collège de ‘Pataphysique di Parigi. L’allenamento patafisico permette ad Alastair Brotchie d’arrivare con una finta e una stoccata sùbito al cuore del problema Jarry. Apre il libro direttamente con Félix-Frédéric Hébert, l’Avversario, un ometto pieno di sé, più vigliacco che umiliato, che insegnava scienze fisiche e naturali nel liceo dove Jarry studiava. Brotchie raduna i documenti, come se fosse il prof. Hébert il protagonista: non era un buon professore, gli ispettori scolastici riconoscevano in lui una totale sottomissione ai regolamenti, ma lo giudicavano lento, verboso, incapace di tenere la disciplina, capace soprattutto di strillare e minacciare punizioni. Alcune testimonianze di classe raccontano nei dettagli i duelli a parole fra Jarry ed Hébert. Quei duelli fornirono il seme dell’invenzione patafisica, perché l’alunno Jarry inventò dentro questo grigio romanzetto scolastico un’epopea, fece del prof. Hébert un alter ego da combattere, come il toro fa combattere il torero. Nella fase finale di quei certami all’ultima parola, Hébert si difendeva gonfiando il peso del suo grado professorale, finché, incalzato da Jarry, finiva per rifugiarsi nella stizza, nell’autocommiserazione e nella prepotente vigliaccheria del pianto. Piangeva: ma non credo che al lettore possa per ciò far pena. Non era una vittima. Era semplicemente un militante dei luoghi comuni. Divenne il simbolo del falso sapere nascosto sotto le uniformi della cultura. La sfortuna d’aver incontrato il giovanotto Jarry fece la sua trista fortuna – si trasformò nel mito più osceno dei nuovi progressi d’Occidente (f.t.)


La Ristori. Vita romanzesca di una primadonna dell’Ottocento Teresa Viziano San Miniato (Pisa), La Conchiglia di Santiago, 2013

Teresa Viziano ha dedicato allo studio della Ristori gran parte della sua vita. Ha diretto per molti anni il Museo Biblioteca dell’Attore di Genova, e ha avuto quindi un rapporto davvero particolare con gli eccezionali documenti della Donazione Giuliano Capranica Del Grillo. La storia di Adelaide Ristori non è solo una «vita romanzesca», o la storia di una grandissima attrice di fama internazionale, o di un sodalizio matrimoniale di vita e lavoro davvero particolare: è la storia di una documentazione straordinaria per ampiezza e per interesse, raccolta, conservata, ordinata dalla famiglia Capranica, e poi donata al Museo Biblioteca di Genova. Un libro pieno di avventure e pieno di dettagli, corredato da un ricco apparato iconografico. Il volume della Viziano è anche un e-book prodotto dall’Enciclopedia delle donne.


Pensare l’attore Claudio Meldolesi. A cura di Laura Mariani, Mirella Schino, Ferdinando Taviani Roma, Bulzoni, 2013

Il volume raccoglie nove saggi, che mostrano le diverse sfaccettature degli studi di Meldolesi sugli attori. Meldolesi ha saputo parlare non solo dei mutamenti di idee, o di tecniche, ma della materialità del mestiere scenico. Ha saputo parlarci di un mestiere (non solo un’arte) i cui protagonisti, volenti o nolenti, sono stati sempre un rovescio della società a cui appartenevano. I suoi ultimi anni di malattia avevano talvolta offuscato la percezione chiara del suo contributo. Questo libro ci restituisce Claudio. «Il “metodo Meldolesi” assunse una forma stabile dopo gli anni dell’antagonismo politico diretto: il Sessantotto (fra poco lo ascolteremo definirlo “l’ultima rivoluzione vissuta dall’Occidente”). Visse quegli anni con dedizione piena e drammatica, con coraggio e costrizioni che non vantò né sconfessò mai. Durante quegli anni, sparì dall’agone teatrale, sfidando l’incomprensione dei suoi compagni di studi. All’agone teatrale tornò in pieno con il libro Profilo di Gustavo Modena. Teatro e rivoluzione democratica, pubblicato nel 1971. Qui si delineava il punto di partenza del suo sentiero “che conduce oltre”. Presto approderà all’idea che il cuore dell’efficacia ribelle del teatro dipendesse, più che dagli spettacoli chiaroveggenti ed efficaci, dal saper preservare l’alterità e il riguardo degli attori e delle loro microsocietà. Gli abitanti delle scene meritavano ai suoi occhi, innanzi tutto, riguardo: quello dovuto agli umili, ai vinti non rassegnati, ai vincitori affaticati e minacciati dalle loro stesse astuzie […] Quando si perlustrano i fatti degli attori, in genere il rispetto è assai raro. Per Meldolesi era un imperativo morale, un a-priori, dal quale traeva un principio ermeneutico: senza il preliminare riguardo, la vita che sta al di là dei sipari resta irrimediabilmente umiliata. Mal sopportava che si dimenticasse il fatto semplice – semplicissimo anche da dimenticare – che dietro il sipario non c’erano immagini ma persone, non oggetti ma soggetti. In pratica, non accettava che con la scusa della filologia e della storiografia, dell’estetica o della tecnica artistica, quelle persone, la loro figura e la loro memoria, finissero per appiattirsi in uno schermo di immagini, in balìa di sguardi e pensieri inadeguati. Anche l’inadeguatezza è mancanza di rispetto» (dall’Introduzione di Ferdinando Taviani).


Antonin Artaud e Colette Thomas. Personaggi della vita e persone del teatro Samantha Marenzi Roma, Bulzoni, 2013

Quando Artaud riprende a scrivere, nell’ultimo anno di un lungo internamento, riempie dei quaderni inizialmente non destinati alla lettura e utilizza la corrispondenza per riallacciare relazioni, denunciare il suo isolamento, sollecitare la memoria sua e dei suoi interlocutori. I temi della sua scrittura migrano da un territorio all’altro, stabilendo da subito un fitto le game tra l’esercizio della poesia e quello della vita. I quaderni sono il laboratorio del rifacimento del linguaggio e del corpo, e costituiscono la scena delle filles de cœur à naître, donne che il poeta fa riemergere dal suo passato reale o immaginario e coinvolge nell’imminenza della sua rinascita. Le lettere mobilitano una comunità umana che ottiene la sua liberazione e lo accoglie a Parigi come un maestro. Alcuni destinatari accedono volontariamente ai due gruppi di alleati, mitici e reali, ponendosi al centro di un processo di trasmissione. È il caso di Colette Thomas, allieva d’elezione, figlia del cuore, destinataria di una conoscenza depositata nel corpo, nella scrittura e nel teatro. Il libro ne percorre la biografia in trasparenza con l’esperienza di Artaud, e si inserisce nel solco degli studi italiani sulla riattivazione della pratica artaudiana, indagando le fratture dei confini della pedagogia e del teatro, restituendo ai protagonisti di un’avventura artistica la verità dei processi tra le persone.


Il teatro dopo l’età d’oro. Novecento e oltre Marco De Marinis Roma, Bulzoni, 2013

De Marinis riflette sul Novecento: età d’oro del teatro, per la nascita della Regia e della tradizione dei registi-pedagoghi, per la presenza di personalità come Appia e Craig, Stanislavskij e Mejerchol’d, Copeau, Artaud, Brecht, e poi Grotowski, Kantor, Brook, la Mnouchkine, Barba e tanti altri. Ma anche età della crisi. Per riconfermare o restituire al teatro un senso e un valore ormai a rischio, scrive De Marinis, i protagonisti della scena novecentesca e oltre hanno sottoposto la forma spettacolo alle più estreme sollecitazioni, la cui conseguenza, talvolta, è stata l’abbandono del teatro stesso, o almeno la fuoriuscita dal teatro-spettacolo. Un libro importante, dedicato ai problemi di un’età di transizione.


Bricks to build a «Teaterlaboratorium». Odin Teatret and Chr. Ludvigsen Franco Perrelli Bari, edizioni di pagina, 2013

Il volume racconta il rapporto fra Eugenio Barba e lo storico del teatro, traduttore di Beckett e Ionesco e animatore culturale Christian Ludvigsen, primo consigliere letterario dell’Odin Teatret, una personalità teatrale importante, in Danimarca. Il volume si basa su una ricca documentazione inedita, e ricostruisce il radicamento dell’Odin Teatret nella realtà danese, mettendo in rilievo l’appoggio e l’impulso che il gruppo, ai suoi esordi, ha ricevuto da Christian Ludvigsen, che è stato artefice anche di un mutamento della legislazione nazionale danese, con cui viene riconosciuta, per la prima volta, l’incidenza dei teatri di ricerca. Il libro parla di una trasformazione di mentalità, negli anni Cinquanta-Sessanta: dal teatro come luogo di rappresentazioni al laboratorio. Comprende anche una vasta sezione iconografica. Nel 2014, le edizioni di pagina pubblicheranno l’edizione italiana, ampliata rispetto a quella originale, del volume: Ludwik Flaszen, Grotowski & Company. Sorgenti e variazioni, a cura di Franco Perrelli.


Yevgeny Vakhtangov. A critical portrait Andrei Malaev-Babel London and New York, Routledge 2013

Andrei Malaev-Babel, attore e studioso, diplomato presso il Vakhtangov Theater Institute di Mosca, ha pubblicato, presso la Routledge, nel 2011, The Vakhtangov sourcebook, che raccoglie scritti, conferenze, registrazioni di Vachtangov, annotati con cura. Ora pubblica un utile volume complessivo, con uno splendido apparato iconografico, su Vachtangov, la sua vita, il suo pensiero, e soprattutto le sue messinscene dell’Enrico XIV, del Dybbuk e della Principessa Turandot.


In fuga dal senato Franca Rame Roma, Chiarelettere, 2013

È un libro che parla di politica e che nasconde il teatro. Racconta dall’interno l’insieme delle dinamiche sociali, burocratiche e relazionali che scandiscono i ritmi di una persona eletta al Senato della Repubblica. Nasconde il teatro perché è un libro che non vuole parlare di teatro ma che lo utilizza come un livello sotteso che nutre il racconto. Eletta nel 2006 all’età di 76 anni nelle file dell’Italia del Valori, Franca Rame racconta i diciannove mesi di lavoro in Senato durante il secondo governo Prodi. Se viene letto come un testo sulla politica di quegli anni, si rischia di precipitare all’interno di un libro triste. Ma, nascosto all’interno di queste vicende c’è il teatro, che riaffiora a tratti, nelle vicende biografiche dell’attrice, o nelle tecniche da lei usate per sopravvivere in quella “nave di matti”: «Ho imparato da tempo a inquadrare il pubblico in teatro; mio padre, capocomico, diceva: “se non sai individuare chi hai davanti, in platea, è meglio che cambi mestiere”. Osservo e catalogo i presenti, a gruppi e uno alla volta. Riconosco il carattere da come uno cammina, si siede, gesticola… ». In fondo il libro racconta come il teatro ha insegnato a Franca Rame a saltare giù dalla nave dei matti. Per lei, saltar giù non ha significato fermarsi, ma continuare a combattere, fino alla fine: «Sono salita su questa strana nave che a momenti mi ricorda quella dei folli dipinta da Bosch, con esagitati appesi al palo di trinchetto… Anch’io come quelli pensavo di poter fare qualcosa di utile. Non è successo. Non mi è stato possibile. Non ce l’ho fatta. Essere coerenti con le proprie scelte ideologiche è onesto, giusto, indispensabile… ma se non te lo puoi permettere? Non ti resta che gettarti a mare: è quello che ho fatto! E ora nuoto, nuoto finché tengo fiato». (Gabriele Sofia)


Domenico Barbaja. Il padrino del belcanto Philip Eisenbeiss Torino, EDT, 2013

Il 13 febbraio 1816, durante le prove generali del ballo Venere pellegrina, un incendio distrusse, in poche ore il Teatro San Carlo di Napoli. Il teatro, costruito nel 1737, era stato appena ristrutturato e abbellito. Soltanto sei giorni dopo il disastro, il re Ferdinando I di Borbone affidava all’architetto Antonio Niccolini il progetto di ricostruirlo. In appena un anno il teatro fu riedificato com’era prima e inaugurato, con la pittura ancora fresca, il 12 gennaio 1817 con lo spettacolo Il sogno di Partenope. Stendhal scrive: «Entrando nel nuovo San Carlo, il re di Napoli, per la prima volta dopo dodici anni, si sentì veramente un re […] oro e argento a profusione, torce intrecciate ai fiori di giglio dei Borbone. […] Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita». I lavori e le spese di ricostruzione furono sostenuti dal milanese Domenico Barbaja: ma chi era costui definito da Dumas padre «principe degli impresari»? Nato nel 1778, Barbaja inizia come sguattero di taverne ma diventa presto proprietario di molti locali e anche del Caffè dei Virtuosi, situato accanto alla Scala. Inventa una bevanda a base di panna, caffè e cioccolata che da lui prese il nome di barbajada, una miscela che fece fortuna. Aprendo numerosi caffè, comprando e vendendo munizioni durante le guerre napoleoniche, Barbaja riuscì a ottenere il redditizio appalto del gioco d’azzardo del Teatro alla Scala. Semianalfabeta ma amante della buona musica, decise quindi di diventare impresario teatrale e si trasferì a Napoli, allora una delle capitali europee dell’arte e della musica. Nel tempo Barbaja gestì direttamente alcuni dei teatri più importanti d’Europa: la Scala di Milano, il San Carlo di Napoli – che rese in trent’anni uno più importanti al mondo – il Theater am Kärntnertor e il Theater an der Wien a Vienna, il Teatro alla Cannobbiana di Milano (oggi Teatro Lirico) in cui debuttò L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti. Ingaggiò Rossini, come compositore e direttore artistico del San Carlo: e qui, in otto anni Rossini scrisse le sue opere migliori per i migliori cantanti dell’epoca come Maria Malibran, Giuditta Pasta, Isabella Colbran, Giovan Battista Rubini, Domenico Donzelli e i due grandi rivali, i cantanti francesi Adolphe Nourrit e Gilbert Duprez, l’inventore del do di petto. Rossini racconta che un giorno Barbaja lo sequestrò nella sua villa e gli impedì di uscirne fino a quando non finì di scrivere l’opera. In cambio, ogni giorno gli dava a pranzo un piatto di maccheroni. Aiutato da artisti di prima grandezza, Barbaja poté mettere in scena più di cento rappresentazioni all’anno e un gran numero di prime assolute. Quando morì, nel 1841, i funerali, partiti da Via Toledo bloccata al traffico delle carrozze, furono celebrati nella chiesa di Santa Brigida con l’esecuzione della Messa da requiem di Mozart eseguita da quattrocento professori e allievi di musica diretti dal compositore Saverio Mercadante. È un libro scritto da un appassionato, non da un professionista e gli storici della musica dicono che ha alcune imprecisioni: ma non solo non esiste un altro libro su Barbaja, ma neanche un libro così bello sulla musica nella Napoli borbonica e nell’Italia preunitaria. (Nicola Savarese)